Nell’ambito degli appalti pubblici relativi alla sanità, l’affidamento di servizi e forniture mediante procedure ad evidenza pubblica si confronta costantemente con l’urgenza, l’innovazione tecnologica e la specificità clinica delle prestazioni richieste. Il nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) fornisce strumenti utili a contemperare le esigenze cliniche con i principi di concorrenza, trasparenza e legalità dell’azione amministrativa, ma richiede un approccio consapevole per evitare che le esigenze sanitarie diventino un pretesto per aggirare le regole di concorrenza.
Nel panorama degli appalti pubblici in campo sanitario, la nozione di “infungibilità” è forse una delle più evocate, ma anche delle più abusate. Evocata, perché legata a scelte terapeutiche individualizzate, a dispositivi salvavita, a prodotti personalizzati, ad esigenze cliniche non standardizzabili. Abusata, perché utilizzata (non di rado) come scorciatoia per aggirare le procedure ad evidenza pubblica, o per reiterare affidamenti diretti con le stesse imprese, anche laddove esistano soluzioni equivalenti o sostituibili.
In linea con quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5837), la Corte ribadisce che l’esistenza di un diritto di esclusiva non è di per sé sufficiente a legittimare la deroga al confronto concorrenziale, se non in presenza di una "esclusiva funzionale", cioè quando il bene o il servizio presenti caratteristiche tecniche intrinsecamente infungibili, non surrogabili da soluzioni alternative equivalenti.
La deroga alla gara, ammissibile ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. e), in combinato disposto con l’art. 76, comma 2, lett. b), del d.lgs. 36/2023, trova fondamento nella previsione normativa che consente il ricorso alla procedura negoziata senza bando nei casi in cui, per ragioni tecniche, artistiche o attinenti a diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente a un operatore economico determinato. Tale presupposto, formalmente riconducibile all’unicità del fornitore, deve però essere letto in chiave sostanziale con riferimento al concetto di infungibilità: è infatti l’oggettiva impossibilità di sostituire un determinato bene o servizio con alternative equivalenti a rendere legittima la concentrazione dell’affidamento su un solo soggetto. In quest’ottica, l’infungibilità non è menzionata espressamente dalla norma, ma ne costituisce il presupposto tecnico-funzionale, e richiede una motivazione rafforzata, fondata su evidenze tecniche attuali, verificabili e dimostrabili ab origine. La deroga è dunque esclusa nei casi in cui l’accertamento dell’unicità dell’operatore dipenda da una valutazione complessa o incerta, e non da una manifesta insostituibilità della prestazione oggetto di contratto.
In questo quadro si inserisce anche la sentenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 20 novembre 2020, n. 7239), che affronta il fenomeno del c.d. lock-in tecnologico, ossia la situazione di dipendenza della stazione appaltante da un fornitore pregresso, superabile solo con oneri eccessivi. Tale situazione, seppur frequente in ambito sanitario, non è sufficiente a giustificare l’affidamento in deroga, se non corredata da una verifica concreta sull’assenza di alternative equivalenti.
Una motivazione del genere non resiste né al vaglio dell’ANAC (v. Linee guida n. 8/2017, Delibera n. 950/2017), né a quello della giurisdizione contabile. Secondo l’ANAC, l’infungibilità può essere legittimamente invocata solo se “accertata l’assenza di alternative presenti sul mercato mediante idonea consultazione preliminare o adeguata istruttoria tecnica, aggiornata e documentata, e non fondata su mere consuetudini organizzative o su dichiarazioni unilaterali dell’utilizzatore finale”.
La Corte dei Conti ha più volte stigmatizzato la prassi degli affidamenti reiterati per presunta infungibilità, evidenziando la responsabilità contabile degli agenti pubblici laddove venga ignorata la disponibilità di soluzioni equivalenti a condizioni economiche più favorevoli.
Il TAR Lazio – Roma, Sez. III, con sentenza 6 novembre 2019, n. 12735 ha ribadito che “la scelta di ricorrere alla procedura negoziata per infungibilità richiede un particolare rigore, ed è onere dell’amministrazione dimostrarne l’effettiva esistenza mediante approfondita istruttoria e concreta verifica dell’offerta sul mercato”. Non è dunque sufficiente il gradimento del personale sanitario o la pregressa esperienza positiva, se non supportati da evidenze oggettive.
Le Linee guida ANAC n. 8, infine, insistono sull’obbligo per le stazioni appaltanti di procedere ad una consultazione preventiva di mercato, proprio per accertare se vi siano “prodotti equivalenti disponibili, che possano offrire le stesse garanzie tecniche, terapeutiche o economiche”.
L’infungibilità, insomma, non può coincidere con una mera autodichiarazione, ma deve essere la conclusione finale di un processo istruttorio e comparativo.
Ai sensi dell’art. 3, commi 1 e 6, del D.L. 95/2012 (conv. in L. 135/2012), le amministrazioni pubbliche sono tenute ad approvvigionarsi tramite Consip S.p.A. o altri soggetti aggregatori. Lo scostamento da tale obbligo è consentito solo in presenza di oggettive ragioni tecniche, adeguatamente motivate, che rendano impossibile o inadeguata l'acquisizione tramite tali canali. La motivazione, dunque, deve essere rafforzata e fondata su una puntuale istruttoria, non potendo basarsi su considerazioni generiche di ordine organizzativo né su presunte criticità operative non documentate.
La Corte dei Conti ha chiarito che l’adozione di procedure in deroga prive di idonea verifica delle condizioni di mercato e della reale impossibilità di ricorrere agli strumenti centralizzati può integrare un illecito amministrativo, con conseguente responsabilità contabile. La sussistenza di un presunto ritardo nella risposta della centrale di committenza, o l’asserita urgenza clinica, non esime l’amministrazione dall’obbligo di avviare un’istruttoria tecnica puntuale, eventualmente documentando l’incompatibilità dell’esigenza sanitaria con le tempistiche o le specifiche tecniche della convenzione vigente.
È utile richiamare alcuni casi in cui la giurisprudenza ha riconosciuto l’effettiva sussistenza dell’infungibilità:
In tutti questi casi, l’infungibilità non è presunta, ma oggettivamente provata. Il punto centrale è la dimostrabilità ex post della scelta.
Il legislatore ha inteso, con il nuovo Codice, valorizzare la discrezionalità tecnica delle amministrazioni, ma senza derogare ai principi di concorrenza, trasparenza e buon andamento. Per farlo, serve una cultura amministrativa consapevole e un dialogo costante tra giuristi, medici e operatori del procurement sanitario.
L’infungibilità non è un totem da invocare per semplificare, ma uno strumento delicato da maneggiare con rigore. Se davvero il prodotto è unico, sarà possibile dimostrarlo. Se non lo è, è doveroso gareggiare.
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