Nel panorama dei rapporti tra pubblica amministrazione e operatori economici, uno degli aspetti meno conosciuti – ma giuridicamente rilevanti – riguarda la sottoposizione dei contratti pubblici al controllo della Corte dei conti. Si tratta di un tema che può incidere direttamente sulla tempistica e sull’efficacia dei contratti e, in alcuni casi, sul rischio di contenzioso per responsabilità erariale.
In questo articolo, analizziamo quali contratti pubblici sono effettivamente soggetti al controllo della Corte, quando e come scatta l’obbligo e cosa prevede la normativa vigente, anche alla luce delle prassi più diffuse.
La Corte dei conti è l’organo costituzionale incaricato del controllo sulla legalità, regolarità e buon andamento della spesa pubblica. Esercita due tipi principali di controllo:
Nel settore degli appalti e delle concessioni, il controllo della Corte non è affatto generalizzato. Al contrario, esso riguarda solo alcune categorie di contratti, stipulati da specifici soggetti, e solo al superamento di determinate soglie economiche.
Il riferimento normativo principale è l’art. 3 della Legge 14 gennaio 1994, n. 20, che elenca tassativamente gli atti sottoposti al controllo preventivo di legittimità.
Tra questi rientrano, alla lettera g), i:
“decreti che approvano contratti delle amministrazioni dello Stato, escluse le aziende autonome:
– attivi, di qualunque importo;
– di appalto d’opera, se di importo superiore alla soglia comunitaria;
– altri contratti passivi, se di importo superiore a un decimo di tale soglia.”
La norma è chiara nell’indicare che solo i contratti stipulati dalle amministrazioni statali centrali (es. Ministeri) sono soggetti a questo tipo di controllo.
Restano invece esclusi i contratti stipulati da Regioni, Comuni, ASL, Università, enti pubblici non economici, società in house e altri soggetti pubblici, per i quali il controllo della Corte potrà avvenire solo in via successiva (v. infra).
Sulla questione delle soglie economiche, si è sviluppato un dibattito interpretativo.
Interpretazione letterale (più rigorosa):
Secondo l’interpretazione più aderente al testo della legge, l’espressione “un decimo del valore suindicato” si riferisce alla soglia comunitaria per i lavori pubblici, che oggi è pari a € 5.538.000.
Ne deriverebbe che tutti gli altri contratti passivi (es. forniture, servizi) siano soggetti a controllo preventivo solo se superiori a € 553.800.
Questa lettura è più coerente con la ratio del controllo preventivo, pensato per atti di grande rilevanza finanziaria, e riduce il rischio di paralizzare la spesa pubblica per importi modesti.
Prassi operativa (più estensiva):
In concreto, però, la Corte dei conti adotta una lettura estensiva, applicando la soglia dell’1/10 in base alla categoria contrattuale di riferimento.
Pertanto:
Questa impostazione è stata ribadita in varie deliberazioni della Corte (es. SCCLEG/1/2023/PREV) e note tecniche parlamentari (es. AS n. 2185, Senato).
Pur non del tutto coerente con il dato letterale, essa si è affermata nella prassi applicativa.
No. Il D.Lgs. 36/2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici) non prevede alcuna forma di controllo preventivo da parte della Corte dei conti.
Esso si limita a:
Tuttavia, si tratta di misure che servono al controllo successivo, non a un controllo preventivo o autorizzatorio.
Il controllo successivo si applica invece a tutte le amministrazioni pubbliche, e riguarda l’intera gestione finanziaria e patrimoniale.
È disciplinato dall’art. 3, commi 4 e seguenti, della L. 20/1994, e si articola come segue:
In sintesi:
È dunque fondamentale, per le stazioni appaltanti e per gli operatori economici che trattano con la PA, conoscere l’ambito di applicazione di tali controlli e valutare con attenzione i profili di legittimità e conformità contabile dei contratti pubblici, specie in fase di stipula.
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